Fabbrica 4.0”: la quarta rivoluzione industriale
La prima rivoluzione industriale interessò prevalentemente il settore tessile e successivamente quello metallurgico, con l’introduzione fra l’altro della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700.
La seconda rivoluzione industriale coincide con l’inizio partire del 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio.
La terza rivoluzione industriale, conosciuta anche come la rivoluzione digitale, coincide con il passaggio dalla meccanica, dalle tecnologie elettriche e da quelle analogiche alla tecnologia digitale, che si è sviluppata nei Paesi più avanzati con l’adozione e la proliferazione dei computer digitali e dei sistemi di conservazione dei documenti a partire dagli anni ’50.
Con l’espressione terza rivoluzione industriale si indica anche tutta quella serie di processi di trasformazione della struttura produttiva, e più in generale del tessuto socio-economico, avvenuti a partire dalla metà del Novecento nei Paesi sviluppati e caratterizzati da una forte spinta all’innovazione tecnologica e al conseguente sviluppo economico della Società.
La quarta rivoluzione industriale, più comunemente conosciuta come “Fabbrica 4.0” o “Industria 4.0” deve il suo nome a un’iniziativa del 2011 da parte di Grandi imprese e Centri di ricerca con l’obiettivo di aumentare la competitività delle industrie manifatturiere, attraverso la crescente integrazione di “sistemi cyber-fisici” (cyber-physical systems o CPS), nei processi industriali.
La quarta rivoluzione industriale.
CPS è fondamentalmente un acronimo, che descrive l’inserimento nella catena produttiva di macchine intelligenti e connesse a Internet. I progettisti delle aziende non studiano più una nuova catena di montaggio, ma un network di macchine che non possano solo produrre di più e con meno errori, ma anche modificare autonomamente gli schemi di produzione a seconda degli input esterni che ricevono, e nel frattempo mantenere un’alta efficienza.
In altre parole, l’Industria 4.0 è per la produzione quello che per i consumatori è l’Internet of Things, in cui qualsiasi oggetto di uso quotidiano sarà connessa a Internet.
Per quanto riguarda il mondo industriale, si tratta di un “approccio completamente nuovo alla produzione,” che è stato descritto e reso pubblico attraverso un documento del 2013 dell’Industrie 4.0 Working Group, ente tedesco che riunisce esperti nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, della ricerca, e dell’industria, nato allo scopo di trovare nuove metodologie e logiche che permettano di pensare in modo diverso al mondo produttivo.
Una rivoluzione, peraltro, che sta già profondamente incidendo non solo sull’attività manifatturiera, ma anche sulle sue interazioni con il resto del tessuto economico: dall’approvvigionamento, all’impiego delle materie prime e forniture energetiche, a monte, ai servizi alle imprese (ad esempio logistica, ingegneria, informatica, consulenza, marketing e comunicazione, servizi tecnici e professionali, valutazioni di conformità), a valle, fino alle attività rivolte ai consumatori (ad esempio servizi post vendita per i beni durevoli) o di supporto al turismo e alla cultura.
Settori questi ultimi tutt’altro che secondari per dimensioni, implicazioni con la smart technology e ruolo strategico.
Da dove viene il cambiamento.
Il concetto di “Fabbrica 4.0” ci porta al concreto mondo dell’industria, sia pure su terreni nuovi, in parte inesplorati e dunque non privi di insidie, e anche, ad un momento di riflessione su cambiamento delle fabbriche, che da luoghi di lavoro rumorosi, sporchi ed il più delle volte pericolosi si stanno sempre più prendendo forma di laboratori asettici e perfettamente puliti.
Una necessità di riflessione che appare attuale in un divenire sempre più rapido, che può fare perdere l’orientamento diventando dunque ostile.
La prima e la seconda rivoluzione industriale, se vogliamo mantenere questo schema, ci ricordano il rumore assordante di bielle, manovelle, ingranaggi, che si muovevano a cielo aperto, a diretto contatto con operai, spesso purtroppo vittime di quel “progresso”.
Poi vennero i primi dispositivi di protezione soprattutto l’elettronica, sia pure analogica, ridusse il numero di parti meccaniche a favore dei comandi analogici o elettromeccanici che resero più facile costruire macchine più performanti ma soprattutto più sicure. Il rumore assordante delle parti meccaniche in movimento venne sostituito dal ronzio dei motori elettrici e dal ticchettio dei relè.
In questo nuovo mondo che muoveva i primi passi si cominciano ad affacciare i primi elaboratori elettronici che timidamente cominciarono a sostituire bielle e manovelle con i cavi elettrici.
Negli anni successivi ’60 – ’70, il apporto tra uomo e macchina che fino ad allora era stato, potrei definire “intimo” ha cominciato a diventare sempre più asettico e mediato attraverso oggetti in grado di cambiare il loro comportamento con la semplice pressione di un tasto e/o reagire a sollecitazioni esterne secondo regole e logiche non più predefinite ma variabili. Stiamo ovviamente parlando dell’avvento dell’“elettronica programmabile”.
Tutto ciò rappresentava il primo passo lungo la strada che ci ha portato a definire il concetto di automatizzazione dei processi di fabbrica ma soprattutto la totale integrazione tra tutti i componenti del sistema di gestione aziendale come lo conosciamo oggi.
Guardando oltre.
Circoscrivere l’attuale rivoluzione industriale al solo mondo della “fabbrica” viene considerato da molti riduttivo, in quanto le componenti in gioco riguardano l’intero tessuto sociale e in definitiva l’umanità nel suo insieme.
Questa recente “rivoluzione” indica piuttosto le più ampie trasformazioni socioeconomiche, che si stanno producendo in seguito alla diffusione di applicazioni tecnologiche, legate a loro volta ai progressi tecnico-scientifici in diversi settori, fra i quali la produzione di energia da fonti rinnovabili, la diffusione delle biotecnologie, l’estensione della manipolazione dei materiali alla scala atomica (nanotecnologie) e la digitalizzazione dell’informazione, la quale ha reso possibile la rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni e la creazione del mercato globale dell’informazione.
In particolare queste ultime innovazioni sembrerebbero inquadrarsi meglio nel contesto della cosiddetta economia della conoscenza e della società dell’informazione, in un mondo sempre più globalizzato, in cui è tutto “smart”, dai cellulari, ai trasposti, alla fabbrica, al business, alle città, all’interazione in definitiva dell’individuo con la vita quotidiana.
Fenomeni quindi di enorme portata sia dal punto di vista sociale che culturale.
Di conseguenza gli interrogativi che vengono posti non sono pochi. Solo per citarne alcuni: quali riflessi sull’occupazione, quali sui consumi, che già in alcune società sembrano alla saturazione, quali sull’ambiente?
Certamente i timori sull’occupazione si sono sempre drammaticamente posti fin dalle prime fasi dell’industrializzazione.
La quarta rivoluzione industriale da un lato è volta alla riduzione del fenomeno dell’outsourcing manifatturiero verso i Paesi in via di sviluppo, anche in considerazione del fatto che questa pratica industriale finisce per trasferire pericolosamente know how e contenuti tecnologici verso i paesi emergenti, ma dall’altro, attraverso un processo di sempre maggiore produttività e integrazione, rende superflua l’attività produttiva anche per quanto riguarda il medio livello intellettuale (si pensi a gran parte del mondo impiegatizio).
Il che porterebbe come diretta conseguenza, la perdita di posti di lavoro non specializzato o poco specializzato con la conseguenza di un ulteriore calo dei consumi ai quali viceversa tutto questo tipo di sviluppo sembra essere orientato.
A questo punto è necessaria una riflessione sull’aspetto occupazionale. Da tempo la richiesta di personale qualificato da parte delle aziende per coprire posizioni nei settori tecnologici avanzati è di gran lunga superiore all’offerta. Dunque risulta facile pensare che l’inevitabile perdita di posti di lavoro non specializzato e/o con specializzazioni poco attinenti al nuovo trend di sviluppo, verrà rapidamente compensata da una richiesta sempre crescente di occupazioni direttamente o indirettamente collegate allo sviluppo delle applicazioni e dei dispositivi atti alla realizzazione del nuovo concetto di “fabbrica”.
Quanto sopra avrà sicuramente un forte impatto educazionale si per quanto riguarda le nuove generazioni sia per quanto riguarda l’inevitabile necessità di riqualificazione delle attuali figure professionali presenti in azienda.
Alcune considerazioni conclusive.
Gli spunti di riflessioni e le argomentazioni sino a qui presentate, sono di fatto riconducibili all’assunto che la “rivoluzione 4.0” non riguarda solo l’industria, ma l’intero sistema socio-economico globale, come sostenuto da più parti.
In questo nuovo scenario, che in parte ripercorre sentieri già esplorati nelle precedenti rivoluzioni del passato, sarà la conoscenza la chiave di svolta per poter comprendere e dunque attivamente prendere parte a questa nuova sfida tecnologica.
Dunque competenza ma anche capacità di essere proattivi al cambiamento in atto in quanto, è pur vero che alcune dinamiche legate a questo tipo di trasformazioni fanno ormai parte della storia moderna, ma questa volta è indispensabile tenere conto della variabile tempo. La nuova “rivoluzione 4.0” rispetto alle precedenti sarà caratterizzata non solo dal cambiamento, ma anche dalla rapidità con cui questo cambiamento sarà implementato.
L’aumento della produttività, della qualità e la capacità di gestire produzioni definite a “batch 1”, cioè in grado di realizzare prodotti totalmente personalizzabili direttamente sulla linea di produzione, sarà sempre più correlata al livello di all’innovazione introdotto e vedrà il sito produttivo quale principale laboratorio in cui sviluppare e testare queste nuove tecnologie. In questo contesto le imprese che vorranno mantenere e migliorare la loro posizione di leadership sui mercati globali dovranno investire un consistente parte dei propri utili a favore della formazione dei lavoratori ed in tecnologie per assicurarsi alti tassi di innovazione.